In questi giorni è emersa una vicenda di una gravità inaudita avvenuta al Policlinico Tor Vergata di Roma, che, se confermata nei suoi contorni essenziali, rappresenta un punto di non ritorno per chiunque abbia a cuore l’etica medica, la tutela della dignità umana e la lotta alla violenza di genere.
Durante un intervento in robotica, il Prof. Sica, chirurgo e docente ordinario, avrebbe rivolto insulti e frasi ingiuriose alla sua assistente, culminati in un atto inaccettabile: un pugno alla nuca della collega. L’episodio, avvenuto in presenza di più testimoni, ha portato a un referto medico con prognosi di 15 giorni.
Questo non è un fatto isolato o circoscritto. È l’emblema di una cultura che tollera, giustifica, e in alcuni casi persino normalizza la violenza quando questa proviene da figure di potere, soprattutto se uomini, soprattutto se “eccellenze”.
1. Violenza di genere e subordinazione nella professione medica
Questo episodio non può essere letto come un momento di esasperazione. Va inquadrato in una cornice più ampia: quella della violenza di genere sul posto di lavoro, in particolare in contesti gerarchici come la sala operatoria.
Nel mondo della chirurgia, le donne sono ancora troppo spesso considerate presenze tollerate, chiamate a dimostrare il doppio per valere la metà. Quando osano parlare, denunciare, opporsi, diventano “provocatorie”, “esagerate”, “fragili”. Qui, invece, siamo davanti a una doppia violenza: quella verbale, reiterata e pubblica, e quella fisica, brutale e ingiustificabile.
Riferimento normativo:
La Legge 15 ottobre 2013, n. 119 (“Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere”) già definiva la violenza nei confronti delle donne come reato aggravato in ambito lavorativo e familiare.
Nel Decreto-legge 4 luglio 2023, n. 92, convertito nella Legge 4 agosto 2023, n. 122, e aggiornato nella circolare del Ministero della Salute del gennaio 2024, si stabilisce che le aziende sanitarie e ospedaliere hanno l’obbligo di attivare procedure immediate di protezione e segnalazione in caso di episodi di violenza sul luogo di lavoro, anche se verbale.
2. La retorica dell’eroe salvavita: un alibi per tutto?
Uno degli aspetti più inquietanti emersi dopo il fatto è la giustificazione dell’aggressore in nome del suo ruolo salvavita. Si è arrivati, in alcuni ambienti, a sostenere che, essendo il chirurgo impegnato in un intervento delicato, il suo comportamento sarebbe stato “contestualizzabile”. Come se salvare una vita consentisse di calpestarne un’altra.
È una retorica pericolosa, che trasforma l’eccellenza medica in immunità etica. Chi lavora per salvare vite non è al di sopra delle regole. Anzi: ha il dovere di incarnarle. L’autorità non è una licenza per l’arbitrio.
Codice Deontologico dei Medici e degli Odontoiatri (FNOMCeO, 2014) – Art. 22:
“Il medico deve ispirare la propria condotta al rispetto della dignità della persona assistita e dei colleghi, senza operare discriminazioni né esercitare abusi d’autorità.”
L’aggressione fisica e verbale in ambito ospedaliero costituisce non solo un reato, ma una violazione deontologica grave sanzionabile dagli Ordini Professionali.
3. L’istituzione che protegge il potere, non la vittima
Ancora più grave è stata la reazione (o l’assenza di reazione) da parte del comitato interno incaricato di valutare l’accaduto. In un primo momento, la posizione assunta è sembrata ribaltare la responsabilità sulla dottoressa stessa, assolvendo di fatto l’aggressore. Nessuna sanzione, nessuna presa di distanza formale, anzi: una difesa silenziosa ma evidente dell’uomo “di valore”, come se l’eccellenza clinica potesse valere più della dignità umana.
Linee guida INAIL 2022 sulla violenza nei luoghi di lavoro:
Definiscono le strutture sanitarie come contesti a rischio elevato per violenze sul personale, prevedendo che ogni struttura pubblica o privata adotti protocolli specifici di prevenzione, segnalazione, e intervento immediato nei casi di aggressione, anche tra colleghi.
Direttiva UE 2019/1158 e Convenzione ILO n. 190 (ratificata dall’Italia nel 2021)
Questi strumenti internazionali ribadiscono l’obbligo degli Stati membri e delle organizzazioni pubbliche e private di garantire ambienti di lavoro liberi da violenza, molestie e discriminazioni, pena sanzioni per omissione e mancata vigilanza.
Una responsabilità collettiva: stare dalla parte giusta
Siamo davanti a un fatto che impone una riflessione collettiva. Come donne e uomini della sanità, della ricerca, della formazione, abbiamo il dovere di prendere posizione. Non solo per solidarietà verso la collega aggredita — a cui va il nostro totale sostegno — ma perché ci riguarda tutti.
Il paradosso è evidente: un soggetto che ha giurato di salvare vite, si sente autorizzato a ferirne un’altra in sala operatoria. E qualcuno cerca persino di giustificarlo. Questo è inaccettabile.
Conclusione: una cultura da cambiare, non da giustificare
Non esistono contesti, competenze o urgenze che possano giustificare un pugno alla nuca. Non esiste eccellenza che autorizzi la sopraffazione. È ora che si dica con chiarezza: la violenza non è mai professionale. È sempre un fallimento.
Serve una nuova cultura del rispetto. Una cultura in cui la professionalità non si misuri solo in abilità tecniche, ma anche in capacità relazionali, umane, etiche. Dove nessuno — nessuno — possa sentirsi al di sopra delle regole, né protetto da silenzi omertosi.
Noi ci saremo. Sempre. Dalla parte delle donne, delle vittime, della dignità umana.
Monica Calamai